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Il 5 settembre scorso, sono state messe on-line, da parte del Ministero dello 
Sviluppo Economico, le risoluzioni che la Direzione generale del Ministero ha 
emanato nel periodo dal 24 maggio al 15 agosto 2007. Si tratta di otto pareri 
che, in parte, ripropongono questioni già affrontate nel passato ed altre che, 
invece, sono conseguenti a novità normative. 
Ancora una volta risulta utile, nell’esaminare il contenuto dei pareri del 
Ministero su alcuni specifici argomenti, sottolineare che si tratta “di punti di 
vista”, e non comportano, quindi, alcun vincolo per i Comuni che, naturalmente 
argomentando in modo adeguato, possono discostarsi dalle indicazioni fornite. 
Come si è avuto più volte occasione di precisare, dopo la modifica del titolo V 
della Costituzione disposto dalla legge cost. 3 del 2001, non esiste alcuna 
gerarchia tra Stato, regioni e comuni. Di conseguenza, vige quel principio di 
equi-ordinarietà tra i diversi enti che consente ai comuni anche di sostenere 
un’interpretazione difforme rispetto a quella statale. Questa precisazione è 
doverosa in quanto tutti ricorderanno l’intervento estivo del garante antitrust, 
che ha contestato i contenuti, a suo avviso illegittimi, della circolare emanata 
l’indomani della prima lenzuolata di Bersani. Insomma, nessuno è perfetto!
L’installazione dei giochi nei PE
Su questo specifico argomento abbiamo avuto più volte modo di dilungarci, anche 
recentemente. La questione è molto delicata, come altrettanto delicato è il 
comparto di cui si tratta. E’ senz’altro vero che l’argomento del gioco lecito è 
ostico e, di conseguenza, è forte la tentazione di liquidarlo senza alcun 
approfondimento, prendendo per buone le indicazioni autorevoli del Ministero, 
conseguenti ad una prima, rapida e superficiale lettura. Tuttavia, un piccolo 
sforzo (di rilettura) è utile per pervenire alla conclusione che il Ministero 
dello Sviluppo Economico e il Ministero dell’Interno, che sullo stesso argomento 
si è pronunciato, non sostengono mai che l’installazione dei giochi di cui al 
comma 6 e 7 dell’articolo 110 del t.u.l.p.s. all’interno dei pubblici esercizi è 
libera. I due Ministeri affermano, esclusivamente, che, per l’installazione di 
questa tipologia di giochi, non è necessaria la licenza ex articolo 86, terzo 
comma del t.u.l.p.s. Il Ministero dello Sviluppo Economico, infatti, nel 
penultimo comma della nota del 26 giugno rileva che: “gli esercenti di dette 
attività già in possesso di licenza di cui agli artt. 86, commi 1 e 2, ovvero 88 
del t.u.l.p.s., potranno installare apparecchi da gioco o intrattenimento di cui 
all’art. 110 del t.u.l.p.s., in forza del titolo di polizia già posseduto senza 
richiedere un’ulteriore analoga autorizzazione1.” Il cerchio interpretativo si 
chiude soltanto dopo la lettura dell’articolo 194 del regolamento t.u.l.p.s., il 
quale dispone che “Nei pubblici esercizi non sono permessi i giuochi, ove non ne 
sia stata data espressa autorizzazione”.
In sostanza, per consentire il gioco lecito mediante le carte, il calcetto, il 
biliardo o anche i giochi di cui al comma 6 e 7 dell’articolo 110 t.u.l.p.s., è 
necessario, prioritariamente, essere autorizzati ai sensi dell’art. 194 reg.to 
t.u.l.p.s. 
I requisiti professionali per la vendita di prodotti alimentari nelle 
parafarmacie2 
Anche questo argomento è di rilevante interesse, in quanto il numero delle 
parafarmacie si sta diffondendo sul territorio anche al di là di quelle che 
erano le originarie previsioni e finalità. L’intento del legislatore, infatti, 
era quello di consentire la vendita dei farmaci al di fuori delle farmacie, cosa 
ben diversa dal liberalizzare le parafarmacie. La norma infatti, dispone che:
1. Gli esercizi commerciali di cui all'articolo 4, comma 1, lettere d), e) e f), 
del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, possono effettuare attività di 
vendita al pubblico dei farmaci da banco o di automedicazione, di cui 
all'articolo 9-bis del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito, con 
modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405, e di tutti i farmaci o 
prodotti non soggetti a prescrizione medica, secondo le modalità previste dal 
presente articolo. E' abrogata ogni norma incompatibile.
2. La vendita di cui al comma 1 è consentita durante l'orario di apertura 
dell'esercizio commerciale e deve essere effettuata nell'ambito di un apposito 
reparto, con l'assistenza di uno o più farmacisti abilitati all'esercizio della 
professione ed iscritti al relativo ordine. Sono, comunque, vietati i concorsi, 
le operazioni a premio e le vendite sotto costo aventi ad oggetto farmaci.
Non è necessaria una interpretazione di tali commi tanto questi sono chiari. Ne 
consegue che, a nostro giudizio, è certamente possibile che i titolari di 
un’erboristeria, un negozio di articoli sanitari, o uno di alimentari 
macrobiotici, tanto per fare alcuni esempi, decidano di vendere anche prodotti 
farmaceutici collocati in uno specifico spazio, ma questa vendita abbinata è 
cosa ben diversa dalla vendita esclusiva.
Riguardo specificatamente al requisito professionale, e contemporaneamente al 
sistema autorizzatorio, è bene precisare che la vendita dei prodotti 
farmaceutici e specialità medicinali è sempre rimasta fuori dalla disciplina 
generale per il commercio. Anzi, fin dalla prima legge organica, la legge 426 
del 1971, era stato escluso espressamente l’ambito di applicazione, nel senso 
che le regole per l’esercizio dell’attività commerciale dei prodotti 
farmaceutici e specialità medicinali non si applicavano, per enunciata 
disposizione, ai farmacisti e direttori di farmacie delle quali i comuni 
assumono l'impianto e l'esercizio. Il motivo di questa esclusione, come ebbe 
modo di rilevare la Cassazione Civile con la sentenza n. 5713 del 21 ottobre 
1988, non era quella di sottrarre alla sfera della legge 426/1971 gli "articoli" 
in commercio che attengono alla salute in senso generico, bensì di sottrarre 
alla disciplina commerciale gli articoli soggetti a diverse (ed addirittura più 
rigorose ed intense) forme di vigilanza amministrativa che riguardano la 
distribuzione, all'ingrosso ed al minuto, attraverso il circuito privilegiato 
delle farmacie. Questo comporta che la vendita dei farmaci è esclusa dalla 
disciplina del commercio non in quanto l’attività è esercitata da un farmacista, 
bensì perché la vendita è effettuata all’interno di una farmacia. 
Il primo comma dell’articolo 5 della legge 248/2006, che dal luglio del 2006 
consente la vendita dei farmaci anche al di fuori delle farmacie, prevede che 
gli esercizi commerciali possono effettuare l’attività di vendita previa 
comunicazione al Ministero della Salute e alla regione in cui ha sede 
l’esercizio. A tale riguardo, il Ministero della Salute ha emanato una circolare 
interpretativa delle nuove disposizioni, nella quale tra le altre cose affronta 
la questione della competenza del comune. Testualmente, la circolare riferisce 
che: “Poichè, inoltre, la vigilanza sulla vendita al pubblico negli esercizi 
commerciali, ai sensi della normativa sul commercio, è di competenza dei comuni, 
appare necessario, al fine di consentire l'espletamento delle relative funzioni 
amministrative in materia di commercio, che la comunicazione di avvio 
dell'attività di vendita dei farmaci sia inviata per conoscenza anche al Comune 
dove ha sede l'esercizio.” 
Questo passaggio, forse oscuro per i non addetti ai lavori, (comuni in primis) 
non può che esplicitare l’assoggettabilità della vendita dei farmaci effettuata 
al di fuori delle farmacie, alla disciplina del commercio. E’ palese che c’è un 
bug nell’articolo 5 della legge 248/2006, e lo ha rilevato la stessa Federfarma, 
la federazione italiana dei titolari di farmacie, la quale, con distinte 
circolari emanate quali informative delle iniziative assunte da alcune regioni, 
ha evidenziato la necessità di “colmare (in qualche modo) le evidenti 
carenze contenute nella legge Bersani che si è limitata a estendere la vendita 
dei farmaci agli esercizi commerciali senza preoccuparsi di disciplinare le 
modalità concrete con cui tale vendita deve avvenire”.
Da queste considerazioni, si può facilmente desumere - con particolare 
riferimento alla risoluzione del 27 giugno del Ministero dello Sviluppo 
Economico - che il requisito professionale è necessario non solo per la vendita 
dei prodotti alimentari eventualmente trattati nella parafarmacia, bensì anche 
per la vendita stessa dei farmaci. 
Riguardo al titolo di studio o l’esperienza lavorativa, con riferimento alla 
risoluzione del 7 agosto 2007, si ritiene che l’interpretazione in senso 
restrittivo sia decisamente forzata. Non c’è logica, infatti, nel riconoscere 
professionalità a colui il quale si è occupato dell’amministrazione (stando in 
ufficio), a chi ha venduto prodotti alimentari (esclusivamente confezionati) e 
non, invece, ad un artigiano che per anni ha venduto i suoi prodotti da forno. 
Il modo per fare giustizia di questa incongruità l’ha trovato la Regione Friuli 
Venezia Giulia che, nel regolamento regionale, ha introdotto una disposizione 
razionale: “per esercizio in proprio dell'attività di vendita o di 
somministrazione di cui all'articolo 73 della legge (deve 
intendersi): qualsiasi attività di vendita di prodotti o di somministrazione 
di alimenti e bevande, anche se trattasi di attività che la legge esclude dal 
suo ambito di applicazione".
Per completezza d’informazione, con riferimento alle parafarmacie, si evidenzia 
il parere dell’Autorità antitrust del 3 agosto 2007, pubblicato sul bollettino 
n. 30 del 2007 e disponibile nel sito del garante all’indirizzo 
www.agcm.it 
L’esercizio dell’attività in carenza del certificato di agibilità dei locali
Con la risoluzione del 7 agosto 2007, il Ministero dello Sviluppo Economico si 
addentra in un tema che comporta non pochi spunti di riflessione, soprattutto 
dopo l’istituzione dello Sportello Unico per le Imprese. E’ evidente, infatti, 
che nei comuni dove lo Sportello è attivo, problemi di questo tipo non esistono 
o, perlomeno, non dovrebbero sussistere. La sinergia, il confronto e il dialogo 
tra i diversi uffici comporta la disponibilità, nei confronti dell’impresa, di 
un unico interlocutore con procedimenti celeri e autorizzazioni definitive e non 
condizionate.
Peraltro, il riferimento del Ministero all’articolo 19 della legge 241 del 1990 
lascia perplessi, in quanto la fattispecie presa in esame riguarda altra 
ipotesi, ovvero quella prevista dall’articolo 20 della legge 241 che disciplina 
i procedimenti autorizzatori e non quelli soggetti a denuncia di inizio 
attività. Le conclusioni alle quali perviene il Ministero sono condivisibili: 
ordinanza di sospensione (immediata), adeguamento alla disciplina edilizia e, 
solo in extremis, revoca del titolo autorizzatorio. Tuttavia, le questioni da 
affrontare oggi dovrebbero essere altre: è legittimo rilasciare 
un’autorizzazione in carenza dei presupposti? La soluzione a questo 
interrogativo potrebbe essere l’autorizzazione ad efficacia differita. Di 
conseguenza, in mancanza delle condizioni, l’esercizio dell’attività è svolto in 
carenza di autorizzazione e quindi va chiuso; ciò in attuazione di quanto 
dispone il comma 6 dell’articolo 22: “In caso di svolgimento abusivo 
dell'attività' il sindaco ordina la chiusura immediata dell'esercizio di 
vendita.”
Ricorrere alla revoca dell’autorizzazione nel caso di mancato adeguamento alle 
disposizioni edilizie, è un percorso non convincente. Gli organi giudiziari, 
infatti, hanno sempre ritenuto che i provvedimenti afflittivi siano a numero 
chiuso e, nel caso in esame, questi sono dettagliatamente elencati al comma 4 
dell’articolo 22 del decreto 114 del 1998.
4. L'autorizzazione all'apertura è revocata qualora il titolare:
a) non inizia l'attività di una media struttura di vendita entro un anno dalla 
data del rilascio o entro due anni se trattasi di una grande struttura di 
vendita, salvo proroga in caso di comprovata necessità;
b) sospende l'attività' per un periodo superiore ad un anno;
c) non risulta più provvisto dei requisiti di cui all'articolo 5, comma 2;
d) nel caso di ulteriore violazione delle prescrizioni in materia 
igienico-sanitaria avvenuta dopo la sospensione dell'attività disposta ai sensi 
del comma 2.
9 settembre 2007
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1 Un approfondimento dal titolo “Il punto della 
situazione sul gioco lecito” è stato pubblicato i primi di agosto su questo 
sito all'indirizzo
http://www.marilisabombi.it/doc/allegati_news/news030807art_mbombi.pdf 
e su 
www.poliziamunicipale.it 
2 Un approfondimento di Marilisa Bombi sulla disposizione contenuta 
nel d.l. 223 del 2006 è stata pubblicata all’indirizzo
http://www.astrid-online.it/farmaci/ 
3 E’ evidente che il riferimento all’articolo 7 della legge è fatto 
con riguardo alla legge regionale n. 29 del 2005.