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La   Dichiarazione che tutela i cittadini
La legge 241, che tra soli cinque mesi raggiungerà la maggiore età,  essendo stata pubblicata in Gazzetta ufficiale il 18 agosto 1990, ha radicato  all’interno della pubblica amministrazione un nuovo modo di operare ponendo,  quali criteri per la  sua operatività,  l’economicità, l’efficacia, la pubblicità e la trasparenza. Insomma, un rapporto  totalmente nuovo con il cittadino (e con le imprese), anche se alcune regioni e  qualche comune, nell’enfasi del processo di semplificazione e di  liberalizzazione, qualche passo rischioso corrono il rischio di farlo, com’è il  caso della dichiarazione di inizio attività immediatamente efficace. La scelta,  fatta in buona fede, è quella di agevolare il privato e l’impresa, ignorando  che, invece, la Dia  immediatamente efficace non ha i connotati dell’autorizzazione che, invece, ha la Dia ad efficacia differita. La  differenza è sostanziale in quanto priva la Dia – quella ad efficacia immediata - della  tutela prevista dal Capo IV – bis  dall’articolo  21 quinquies in poi. Questa tipologia di procedimento che, con le modifiche  introdotte all’interno della legge 241 dal d.l. 35 del 2005, il  legislatore  ha voluto espressamente  rimuovere dall’ordinamento, non si configura infatti come “provvedimento”  seppur formatosi per silenzio assenso e, quindi, ad essa non si applica tutta  la parte della legge 241 del 1990 relativa all’autotutela. Questa non è una  questione di poco conto se, proprio per questo motivo, la nuova disciplina  della dichiarazione di inizio attività ad efficacia differita è stata  introdotta dal d.l. 35 del 2005 definito ormai comunemente come decreto legge  sulla competitività, il cui fine proprio  era quello di fornire al privato e alle imprese  regole certe, o quantomeno tutela. E non è un caso se nel ddl 2161 presentato  su proposta del Ministro Nicolais “Modernizzazione, efficienza delle  Amministrazioni pubbliche e riduzione degli oneri burocratici per i cittadini e  per le imprese” si era voluto assegnare, inequivocabilmente, allo Stato la  competenza in materia procedimentale con riferimento proprio alla dichiarazione  di inizio attività ed il silenzio assenso, facendoli rientrare nel “livelli  essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m)  della Costituzione.
  Relativamente ai vantaggi e svantaggi della dichiarazione e della  denuncia di inizio attività, prima e dopo la modifica, va sottolineato che il  nuovo sistema autorizzatorio riconducibile alla dichiarazione,  prevede la possibilità della sua conformazione  in caso di irregolarità, mentre la vecchia denuncia di inizio attività, se non  regolare e completa, come ben precisa il dpr  300 del 1992, era da dichiararsi inammissibile con la necessaria  ripresentazione di una nuova denuncia regolare e completa. Questa agevolazione  dovrebbe essere più che sufficiente per rilevare la positività della modifica.
Premesso un tanto (che evidenzia come, a volte, l’Amministrazione che  vuole far del bene fa - invece  - danni),  si dà conto di una sentenza pubblicata la settimana di Pasqua e che rappresenta  la capitolazione del brocardo tempus  regit actum che aveva,  per mille  anni, sintetizzato un concetto giuridico “sacro” per la pubblica amministrazione:  un atto è regolato dalla normativa e dalla forma vigenti al momento del suo  compimento. La capitolazione è stata decretata dalla Sezione seconda ter del  Tribunale amministrativo Lazio, con la sentenza n. 2420 del 17 marzo 2008  che accoglie, in parte, un ricorso presentato  da un pasticcere romano al quale era stata inibita la concessione del suolo  pubblico davanti al suo locale, dove intendeva sistemare tavolini e sedie, così  come ormai fan tutti. Secondo il tribunale laziale, la domanda di concessione  di suolo pubblico va esaminata in base alla legge in vigore all’atto  dell’istanza e non quella, più rigorosa, che l’amministrazione ha emanato anni  dopo. La lentezza della pubblica amministrazione in pratica,  non può andare a danno del cittadino. Una  vicenda, quella esaminata dal Tar Lazio che presenta più di uno spunto  interessante che vale la pena di approfondire.
Il silenzio assenso e il termine  per la conclusione del procedimento
A Roma il clima è sempre mite, inoltre il divieto del fumo nei locali  ha aumentato l’abitudine a star fuori. E’ per questo motivo che un imprenditore  romano, titolare di una pasticceria nel quartiere Testaccio, ha presentato al  Comune, nel 2003, una domanda per l’ampliamento dell’occupazione di suolo  pubblico nell’area antistante il  proprio  locale, occupando parte del marciapiede e parte della sede stradale. Ma la  domanda, nonostante il parere favorevole della Polizia municipale e della  Sovrintendenza, è stata respinta dall’Amministrazione comunale, sul presupposto  che l’occupazione oggetto della domanda avrebbe recato intralcio ai pedoni. Per  rimuovere quelli che erano stati considerati dal Comune di Roma elementi  ostativi al rilascio della concessione, il titolare della pasticceria alcuni  mesi dopo,  nel febbraio 2004, presentò  una nuova domanda di ampliamento della concessione per una superficie minore,  che non prevedeva più l’occupazione del marciapiede, ma solo del tratto di strada  antistante il locale. Dopo ben due anni e mezzo, nell’ottobre del 2006, il  Comune di Roma comunicò al richiedente che anche la nuova domanda di  occupazione di suolo pubblico non poteva essere accolta in quanto in contrasto  con una delibera del 2005 che il Comune di Roma aveva nel frattempo adottato.
  Su questo ulteriore diniego è stato presentato ricorso al Tar con  diverse motivazioni. Nella prima il ricorrente sostiene l’intervenuto silenzio  assenso per decorso dei termini procedimentali. Relativamente a questo aspetto,  non c’è alcun silenzio assenso, ha affermato il Tar Lazio, respingendo uno dei  motivi del ricorso, in quanto gli atti di concessione non sono sottoposti alla  particolare procedura del silenzio accoglimento. Peraltro, rileva il tribunale,  “È  noto che i termini di conclusione del procedimento non hanno carattere  perentorio ma sono di natura ordinatoria (per tutte, TAR Sicilia, Catania,  sez. III, 9 febbraio 2007, n. 252). Pur tuttavia - continua il Tar - come  peraltro riconosciuto da questa stessa Sezione con sentenza n. 1968/2007, la  conclusione del procedimento ritardata di quasi tre anni che ha comportato il  rigetto dell’istanza per la sopravvenienza della delibera comunale che ne  impedisce un esito favorevole (delibera n. 119/05 approvata dopo circa 15 mesi  dalla presentazione della domanda) non può non ricadere sulla stessa  valutazione di legittimità del relativo provvedimento negativo, pena l’assoluta  inutilità della norma procedimentale violata.” “Di conseguenza - precisa il Tar  - il lunghissimo silenzio dell’amministrazione, che ha lasciato pendente  il procedimento senza concluderlo come prescrive l’art. 2 della legge 7 agosto 1990  n. 241, non può ritorcersi a danno del cittadino nelle ipotesi di provvedimenti  sopravvenuti (il nuovo regolamento di occupazione di suolo pubblico approvato  con delibera n. 119 del consiglio comunale del 30 maggio 2005, che esclude  l’occupazione su carreggiata stradale soggetta a sosta tariffata). Questa  situazione non si può determinare, precisa il tribunale, quando la normativa  comunale impone la conclusione del procedimento entro il termine di sessanta  giorni dalla istanza, termine questo che nel caso del pasticcere del Testaccio  è stato ampiamente superato per inerzia colpevole dell’amministrazione.” 
La  fine del “Tempus regit actum”
In sostanza, è la conclusione dei giudici,  se il Comune avesse rispettato i tempi procedimentali dallo stesso individuati  o comunque avesse assunto il provvedimento espresso in tempi (scaduti ma)  ragionevoli, avrebbe valutato la richiesta ai sensi della precedente  determinazione che stabiliva vincoli meno rigidi. Il Collegio, quindi, è ben  “consapevole del fatto che la giurisprudenza amministrativa è univoca  nell’affermare che il procedimento amministrativo è regolato dal principio tempus  regit actum, dal che consegue che la legittimità di un provvedimento  amministrativo va valutata in relazione alle norme vigenti al momento in cui lo  stesso viene adottato (per tutte, TAR Lazio, sez. III, 25 gennaio 2007, n.  563 e, sez. I, 4 maggio 2007, n. 3967), pur tuttavia, precisa, non può  sottacersi come, nello specifico caso in esame, vi sia stata una chiara  violazione dei termini di conclusione del procedimento di rilascio della  concessione (richiesta – come detto – nel febbraio 2004) tanto che, se fossero  stati rispettati (a nulla vale se si trattava di 30 o, al massimo, 60 gg.),  l’amministrazione avrebbe dovuto valutare l’istanza della ricorrente applicando  la delibera n. 104/2003 (che non vietava, in astratto, l’occupazione della sede  stradale) e non la normativa sopravvenuta n. 119 del maggio 2005 che inibisce  tale possibilità”. La palla, quindi,  viene rinviata al Comune di Roma, che dovrà esaminare la richiesta del  pasticcere in base alla disciplina in vigore quattro anni fa, ovvero  prima dell’introduzione dei nuovi  limiti restrittivi.