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		La vendita e la somministrazione degli alcolici 
 
 	
	
		
		
Marilisa Bombi e Francesco Donolato
Scarica il pdf  Anche nei negozi tradizionali e nei supermercati, oltre che in 
bar e discoteche, è
vietata la vendita di bevande alcoliche ai minori di anni 16? 
L’interrogativo è più che
legittimo, tenuto conto che il divieto stesso non è rispettato, 
in quanto il più delle volte è
ritenuto inesistente. Tuttavia, poiché per punire questo reato 
non è necessario che la
condotta sia caratterizzata dal dolo, ovvero dalla 
consapevolezza di violare la legge, bensì
è sufficiente la colpa, si ritiene utile prelevare dallo 
scaffale delle leggi i vecchi tomi e
sistematizzare le norme che nel tempo si sono stratificate. Ciò 
al fine di ribadire l’obbligo
e dare, quindi, senso logico a quella disposizione del codice 
penale(nota 1) che punisce 
 
L'esercente un'osteria o un altro pubblico spaccio di cibi o di 
bevande, il quale somministra, in un luogo
pubblico o aperto al pubblico, bevande alcooliche a un minore 
degli anni sedici, o a persona che appaia
affetta da malattia di mente, o che si trovi in manifeste 
condizioni di deficienza psichica a causa di
un'altra infermità, è punito con l'arresto fino a un anno.
Se dal fatto deriva l'ubriachezza, la pena è aumentata.
La condanna importa la sospensione dall'esercizio. 
Le previsioni del tulps 
Insomma, al di fuori di ogni eufemismo, sarebbe ben sciocco quel 
legislatore che
punisce colui il quale cede al minore il boccale di birra, ma 
lascia impunito il negoziante
che allo stesso minore vende il fustino da cinque litri, come va 
di moda da un po’ di
tempo in qua. Ed, infatti, così non è. 
Scopo di queste note è dimostrare come l’antinomia, peraltro 
paradossale, diffatto non
esiste e come l’interprete (che pensa il contrario) sia caduto 
in errore a causa del mutato
significato che nel tempo è stato attribuito ad alcuni termini 
presenti nelle diverse
disposizioni. La spia, che fosse necessario approfondire la 
questione, si è accesa dopo
aver riletto per l’ennesima volta l’articolo 87 del tulps, il 
quale dispone che
 
E’ vietata la vendita ambulante di bevande alcooliche di 
qualsiasi gradazione.
 
Anche relativamente a questa imposizione sarebbe utile 
soffermarsi, tenuto conto che la
legge sul commercio ambulante è stata da parecchio tempo ormai 
sostituita dalla
disciplina per il commercio su aree pubbliche che equipara, 
sotto diversi aspetti, le due
forme di commercio che si rivolgono al consumatore finale, con 
l’unica differenza che in
un caso l’attività è esercitata su area privata mentre 
nell’altro l’attività è esercitata su area
pubblica.(nota 2) Esiste un’ulteriore modalità di esercitare il 
commercio su area pubblica ed è
quella in forma itinerante. E’ a questa che, evidentemente, il 
legislatore aveva fatto
riferimento al tempo in cui la norma del tulps era stata 
scritta, per l’ovvia impossibilità di
tenere sotto controllo l’attività di un’impresa, 
eufemisticamente parlando, senza fissa
dimora. 
L’ assioma che consegue dalla lettura della sopraindicata 
disposizione è banale: se il
commercio ambulante è vietato dall’articolo 87 del tulps, ci 
sarà qualche disposizione che
autorizza il commercio lecito in sede fissa (ovvero nei negozi) 
ed, infatti, la vendita degli
alcolici è consentita dall’articolo 86 (nota 3) il quale, espressamente, 
ai commi primo e secondo,
prevede che: 
Non possono esercitarsi, senza licenza del Questore, alberghi, 
compresi quelli diurni, locande, pensioni,
trattorie, osterie, caffè o altri esercizi in cui si vendono al 
minuto o si consumano vino, birra, liquori od
altre bevande anche non alcooliche, né sale pubbliche per 
bigliardi o per altri giuochi leciti o stabilimenti
di bagni, esercizi di rimessa di autoveicoli o di vetture, 
ovvero locali di stallaggio e simili.
La licenza è necessaria anche per lo spaccio al minuto o il 
consumo di vino, di birra o di qualsiasi
bevanda alcolica presso enti collettivi o circoli privati di 
qualunque specie, anche se la vendita o il
consumo siano limitati ai soli soci.
 
“Per la vendita ambulante di bevande alcoliche non è previsto 
alcun tipo di
autorizzazione amministrativa”, precisa la Cassazione penale, 
sez. V, con una sentenza
del 28 ottobre 1993 “perché l´art. 87 t.u. leggi di pubblica 
sicurezza vieta in modo
assoluto la vendita ambulante di bevande alcoliche di qualsiasi 
gradazione e non può
ritenersi abrogato dal combinato disposto degli art. 9 legge n. 
689 del 1981 e 1, 2 e 6
della legge n. 112 del 1991, sicché il commercio in questione è 
sanzionato tuttora dall´art.
686 c.p.” 
E già dieci anni prima, il Consiglio Stato, sez. V, con sentenza 
del 29 maggio 1984 , n.
407 aveva chiarito che “Il rispetto della distanza minima di 100 
m rispetto ad altro
esercizio di somministrazione di bevande alcoliche (art. 86, 
r.d. 18 giugno 1931 n. 773)
riguarda anche gli esercizi nei quali dette bevande - 
confezionate dal titolare di esercizio
commerciale di altra natura - vengano offerte gratuitamente al 
pubblico a titolo
promozionale e pubblicitario. 
Ma il tulps, e ben lo sanno gli operatori pubblici, non 
esaurisce la disciplina nel settore
della pubblica sicurezza, ed oggi, di polizia amministrativa. 
Infatti, la disciplina primaria è
integrata dal "Regolamento per l'esecuzione del testo unico 18 
giugno 1931, n. 773 delle
Leggi di Pubblica Sicurezza" approvato con regio decreto 6 
maggio 1940, n. 635 e, per la
parte che qui riguarda modificato dall’articolo 7 della legge 11 
maggio 1981 n. 213.
Specificatamente, ed è su questa norma che ci si intende 
soffermare, l’articolo 176
dispone che: 
Agli effetti dell'art. 86 della Legge, non si considera vendita 
al minuto di bevande alcoliche quella fatta
in recipienti chiusi secondo le consuetudini commerciali, e da 
trasportarsi fuori del locale di vendita,
purché la quantità contenuta nei singoli recipienti non sia 
inferiore a litri 0,200 per le bevande alcoliche
di cui all'art. 89 della Legge, ed a litri 0,33 per le altre. 
Per le bevande non alcoliche, è considerata vendita al minuto 
esclusivamente quella congiunta al consumo. 
I sopraindicati limiti sono stati modificati, rispetto alla originaria 
formulazione, con la legge 11 maggio 1981 n. 213 (nota 4). Il limite di litri 0,200 per i 
superalcolici e per gli alcolici di
330 cc originariamente era rispettivamente di mezzo litro e di 
due terzi di litro. 
L’ inciso “vendita al minuto” riportato al primo comma 
dell’articolo 86 del tulps e
dell’articolo 176 del regolamento tulps, non deve, tuttavia, 
indurre in inganno. Infatti,
solo in epoca più recente il legislatore nazionale ha attribuito 
a questo sintagma un
significato tecnico diverso dal passato, per distinguerlo da 
“vendita all’ingrosso”. In
origine, il significato da attribuire alla “vendita al minuto” 
utilizzato dal legislatore, è dato
dal secondo comma dell’articolo 176 del regolamento tulps, il 
quale associa la vendita al
minuto a quella destinata al consumo sul posto. Il “consumo sul 
posto”, se sussistono
particolari condizioni, oggi è definito “somministrazione”, ma 
relativamente a questo
termine ci si soffermerà tra breve. 
Dall’analisi delle sopraindicate disposizioni risulta chiaro che 
il consumo sul posto o la
vendita al minuto di bevande alcoliche o superalcoliche in 
contenitori entro i limiti fissati
dall’articolo 176 del tulps è legittimo se autorizzato con 
licenza prevista dall’articolo 86
del tulps rilasciata dal questore.(nota 5) La vendita, invece, di 
bevande alcoliche e superalcoliche
in contenitori con capacità superiore, se non consumata sul 
posto, è autorizzata dal
Comune con la licenza, si può dire, di natura commerciale. Non è 
consentita, invece, mai
la vendita ambulante degli alcolici a prescindere dalla quantità 
del recipiente, tenuto
conto che il già richiamato articolo 87 vieta la vendita 
ambulante di bevande alcooliche
di qualsiasi gradazione senza alcun riferimento alla vendita “al 
minuto”. 
In pratica, “ ….. la ratio che presiede alle disposizioni 
relative agli esercizi pubblici è
quella di rendere agevoli e pieni il controllo e la vigilanza 
dell’autorità per il
mantenimento dell’ordine pubblico e per la tutela della salute 
pubblica e, nel campo della
vendita o del consumo delle bevande alcoliche, la ratio consiste nelle misure di 
prevenzione da adottarsi nella lotta all’alcolismo”.(nota 6) 
Da ciò ne consegue che anche i negozi tradizionali se pongono in 
vendita bevande
alcoliche con il contenuto indicato all’articolo 176 del tulps, 
o ne consentono il consumo
sul posto dovrebbero munirsi della speciale licenza prevista 
dall’articolo 86 del tulps
anche se “riguardo alla vendita di bevande alcoliche in 
recipienti ermeticamente chiusi,
consentita con licenza del sindaco, il Ministero dell’interno, 
sentiti i dicasteri della sanità,
delle finanze e dell’industria e del commercio, ha stabilito 
che, nei negozi autorizzati
dalla menzionata autorità comunale, può effettuarsi anche la 
vendita, per asporto, di
birra in bottiglie che portino una dichiarazione di capacità 
nominale di cl. 65”(nota 7) e, quindi,
al di sotto dei limiti previsti dal più volte ricordato articolo 
176 del regolamento tulps. 
La vendita al minuto (ovvero in recipienti dal contenuto inferiore a 0,200 e 
0,33 rispettivamente per i superalcolici e gli alcolici) per l’asporto o il 
consumo sul posto è
soggetta, quindi, all’articolo 86 del tulps e l’esercizio 
abusivo dell’attività è punito oggi
dall’articolo 17 bis, comma primo, del tulps(nota 8). La vendita di 
bevande alcoliche e
superalcoliche in contenitori maggiori (e di ogni altro alimento 
o bevanda) è assentita
dall’autorizzazione comunale prevista dal decreto legislativo 
114/1998 o dalla rispettiva
legge regionale.(nota 9) Distinguendo i vari prodotti e le necessarie 
cautele che ogni articolo
presupponeva, originariamente il legislatore aveva fatta salva 
la vigenza del tulps (o delle
altre specifiche disposizioni) ed, infatti, la legge 426 del 
1971 (abrogata, poi, dal decreto
legislativo 114/1998) escludeva dalla sua applicazione le 
attività regolamentate da altra
specifica disciplina (nota 10) e, nel caso in esame, la vendita di 
bevande alcoliche in contenitori
aventi le già richiamate caratteristiche di litri 0,200 e litri 
0,33. Così non è stato, invece,
per il decreto legislativo 114 del 1998 che ha espressamente 
individuato l’ambito di
esclusione della normativa nulla dicendo riguardo la vendita 
degli alcolici. Si può ritenere,
quindi, che la vendita per asporto delle bevande alcoliche e i 
superalcolici sia oggi
soggetta esclusivamente al decreto legislativo 114/1998 o alla 
rispettiva legge regionale. 
Nel frattempo, anche il concetto di “vendita (o commercio) al 
minuto” ha mutato
significato ed oggi (nota 11) ha, all’interno dell’ articolo 4 del 
decreto legislativo 114/1998 la sua
puntuale definizione: 
1. Ai fini del presente decreto si intendono: 
a) per commercio all'ingrosso, l'attività svolta da chiunque 
professionalmente acquista merci in nome e
per conto proprio e le rivende ad altri commercianti, 
all'ingrosso o al dettaglio, o ad utilizzatori
professionali, o ad altri utilizzatori in grande. Tale attività 
può assumere la forma di commercio interno,
di importazione o di esportazione; 
b) per commercio al dettaglio, l'attività svolta da chiunque 
professionalmente acquista merci in nome e
per conto proprio e le rivende, su aree private in sede fissa o 
mediante altre forme di distribuzione,
direttamente al consumatore finale; 
Somministrazione e vendita 
A rendere più complesso il quadro di riferimento è intervenuta, 
nel 1974, la legge 14
ottobre 1974 n. 524 (Modifica alla disciplina degli esercizi 
pubblici di vendita e consumo
di alimenti e bevande). Tale legge, per la parte che riguarda 
queste note, per la prima
volta, introduce all’interno del corpo normativo un nuovo 
termine: somministrazione. 
Lo fa all’interno dell’articolo 2, il quale dispone che: 
Per il rilascio di nuove licenze, anche stagionali, concernenti 
l'attività di somministrazione al pubblico di
alimenti e bevande, disciplinata nel capo II del testo unico 
delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con
 
regio decreto 18 luglio 1931,n. 773, e nel relativo regolamento 
di esecuzione,i comuni,nel quadro dei
principi generali fissati dalla legge 11 giugno 1971, n. 426, e 
tenuto conto degli esercizi già in attività,
predispongono,mediante approvazione di appositi piani,il limite 
massimo in termini di superficie globale
degli esercizi pubblici in cui si esplica tale attività. 
Interpreti hanno cercato, a suo tempo, di attribuire significato 
alla locuzione
“somministrazione al pubblico di alimenti e bevande” inserita 
all’interno della legge 524
del 1974, che aveva esteso anche ai pubblici esercizi la 
necessità di prevedere criteri di
programmazione per l’apertura di nuovi esercizi, affermando che 
sta ad indicare (nota 12),
“operazioni ed atti …. diversi dalle iniziative concernenti la 
vendita al minuto di merci in
genere. I vocaboli somministrare e vendere, da cui si originano 
le voci somministrazione
e vendita, differiscono, etimologicamente: il primo significa 
dare agli altri ciò che è
necessario e anche fornire, servire, porgere, dare una cosa, il 
secondo è nel senso di una
trasmissione ad altri della proprietà di una cosa ricevendone il 
prezzo.”(nota 13) Ma questa
distinzione, chiaramente espunta dal codice civile non pare 
molto convincente, ed anzi
potrebbe trarre in errore l’interprete, dal momento in cui anche 
la somministrazione
presuppone un prezzo da versare e non ha quei caratteri della 
continuità ai quali il codice
civile riconduce; insomma sembra più convincente il parallelismo 
con il consumo sul
posto. 
Il successivo passo in avanti sul cammino della esemplificazione 
del termine è stato
compiuto dalla legge 25 agosto 1991, n. 287 (Aggiornamento della 
normativa
sull'insediamento e sull'attività dei pubblici esercizi) che a 
tutt’oggi regola l’apertura dei
locali pubblici siano essi pub, pizzerie, bar o ristoranti. 
Infatti, l’articolo uno, al comma
uno, della legge, dà puntuale definizione al vocabolo: 
Per somministrazione si intende la vendita per il consumo sul 
posto, che comprende tutti i casi in cui gli
acquirenti consumano i prodotti nei locali dell'esercizio o in 
una superficie aperta al pubblico, all'uopo
attrezzati. 
Insomma, una definizione diversa da quella “vendita al minuto” 
prevista dal tulps dal
combinato disposto dell’articolo 86 e dall’articolo 176 del 
relativo regolamento. Oggi, in
pratica, la somministrazione è caratterizzata delle attrezzature 
messe a disposizione del
cliente/consumatore per il consumo sul posto nei locali 
dell’esercizio o in altra area
aperta al pubblico. Insomma, un quid pluris rispetto al 
passato. 
Allo stato attuale si può affermare, quindi, che riguardo agli alimenti e alle 
bevande risultano previste, all’interno dell’ordinamento, due distinte 
discipline: la legge 287/1991 (che ha sostituito la legge 524/1974 e che a sua 
volta molte regioni dopo la novella del titolo V Cost. hanno rielaborato fatti 
salvi i principi fondamentali) che regola l’attività di somministrazione, ovvero 
il consumo sul posto adeguatamente attrezzato e il decreto legislativo 114/1998 
(che ha sostituito la legge 426/1971 e che, pure, molte regioni hanno 
revisionato) che regola l’attività di commercio al minuto. Su queste discipline 
ci si può chiedere, oggi, se soprintende ancora il testo unico di pubblica 
sicurezza che, per quanto riguarda le bevande alcoliche e i superalcolici, 
individua espressamente, all’articolo 86 (nota 14) e all’articolo 176 del relativo regolamento, 
l’ambito di applicabilità con
riferimento sia al consumo sul posto che alla vendita se 
effettuata nei recipienti di 0,200
e 0,33 rispettivamente per gli alcolici e i superalcolici. Il 
dubbio sorge dal fatto che il
decreto legislativo 114 del 1998 elenca, specificatamente, le 
attività commerciali escluse
dal suo ambito (nota 15) ma, contrariamente a quanto aveva fatto la 
legge 426/1971, non fa
salve le eventuali normative di settore. In pratica, il decreto 
legislativo 114/1998 si pone
come “la legge” per il settore del commercio. 
Tra l’altro, successivamente al 1974, essendo cadute (si 
riteneva) le ragioni di contrasto
dell’alcolismo, il legislatore ha cambiato l’impostazione della 
disciplina relativa ai pubblici
esercizi e, da normativa orientata alla repressione 
all’alcolismo, si è passati a disciplina a
carattere economico programmatorio, come un paio di anni prima 
era stato fatto per le
attività commerciali. Inoltre, su questo specifico argomento, 
con l’articolo 23, quarto
comma del dm 28 aprile 1976, è stato scritto un nuovo capitolo. 
Con tale disposizione,
infatti, è stata estesa anche agli esercizi pubblici (quelli 
muniti della autorizzazione
prevista dall’articolo 86 del tulps e dalla legge 524 del 1971) la possibilità 
di vendere bevande alcoliche e superalcoliche senza l’obbligo della licenza per 
l’attività di vendita, a prescindere dai vincoli imposti dall’articolo 176 del 
regolamento. In sostanza, nei bar e
ristoranti si poteva (e si può) effettuare congiuntamente 
l’attività di somministrazione
(consumo sul posto) e l’attività commerciale (vendita per 
asporto). 
Oggi, questa facoltà è prevista dalla legge 287/1991. Infatti, 
l’articolo 5, al comma 4,
dispone che: 
4. Gli esercizi di cui al presente articolo hanno facoltà di 
vendere per asporto le bevande ………... In
ogni caso l'attività di vendita è sottoposta alle stesse norme 
osservate negli esercizi di vendita al minuto. 
Riepilogando, in conseguenza alle successive modifiche, nei 
pubblici esercizi per la
somministrazione di alimenti e bevande è consentito 
somministrare (ovvero consumare
in luoghi attrezzati) e vendere, per asporto, le bevande di 
qualsiasi gradazione alcolica
esse siano, mentre gli esercizi commerciali sprovvisti di 
autorizzazione per l’attività di
somministrazione, possono (o meglio potevano per le ragioni di 
cui si dirà più sotto)
soltanto vendere per asporto le bevande e non somministrarle. 
Non si ritiene, per effetto
della mancanza di qualsiasi riferimento contenuto nella 
disciplina commerciale, che
sussista ancora l’obbligo per i titolari dei negozi che 
intendono porre in vendita bevande
in recipienti dal contenuto inferiore a un terzo e un quinto di 
litro, (0.33 e 0.20)
rispettivamente per gli alcolici e i superalcolici, di munirsi 
della licenza prevista
dall’articolo 86 del tulps che era, invece, originariamente 
necessaria come risulta dalla già
indicata circolare ministeriale n. 10.4053/12000. 
Ma c’è di più. Si è chiarito che oggi i bar, ristoranti, pizzerie, pub, negozi e 
supermercati possono vendere di tutto: dalla lattina di birra alla mignon di 
liquore, dalla damigiana di vino al fusto di birra, senza alcun vincolo Insomma, 
il quantitativo non rileva giuridicamente. L’unica distinzione tra esercizi 
pubblici (in senso stretto) e negozi al minuto (nota 16) è che 
i primi mettono al servizio del consumatore, strutture ed attrezzature per il 
consumo sul posto (nota 17). Tra l’altro, questa distinzione è 
stata fortemente mitigata da due diverse leggi: la legge 25 marzo 1997, n. 77 
(Disposizioni in materia di commercio e di camere di commercio) che, 
all’articolo 4 (nota 18) , introduce la facoltà per i negozi 
di vendere, per il consumo immediato (utilizzando i buoni pasto), alimenti e 
bevande, e la legge
248/2006 (prima lenzuolata Bersani) che, per la previsione 
contenuta all’articolo 3,
consente il consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso 
l'esercizio di
vicinato, utilizzando i locali e gli arredi dell'azienda con 
l'esclusione del servizio assistito
di somministrazione e con l'osservanza delle prescrizioni 
igienico-sanitarie. Insomma, se
la somministrazione (in senso stretto ovvero quella disciplinata 
dalla legge 287/1991)
originariamente esigeva un quid pluris, rispetto al 
commercio al minuto di alimenti e
bevande, costituito dall’ allestimento di spazi e strutture che 
consentano all'acquirente di
consumare in loco i prodotti stessi, oggi questa 
distinzione non rileva più tenuto conto
che anche i negozi al minuto consentono il consumo sul posto di 
“alimenti e bevande “
(all’interno del servizio sostitutivo di mensa) e il consumo sul 
posto di “prodotti di
gastronomia” per effetto della legge 248/2006.
La somministrazione sanzionata dal codice penale 
Il codice, all'art. 689, persegue il fine immediato di tutelare 
persone che per l'immaturità
o per condizioni psicopatologiche mancano della potestà di 
autogoverno oltre a voler
prevenire l'alcolismo quale causa di degenerazione individuale o 
sociale e di criminalità.(nota 19) 
L’articolo 689 c.p (nota 20) non fa alcun rinvio a quella vendita al 
minuto e al consumo sul
posto utilizzati espressamente dall’articolo 86 del tulps che, 
com’è noto, è stato
revisionato dopo la stesura del codice penale, proprio al fine 
di sistematizzarne i
contenuti. Né fa alcun riferimento alla vendita per asporto 
degli alcolici, secondo il
significato che più sopra è stato esaminato in relazione 
all’articolo 176 del regolamento
tulps. La rubrica dell’articolo 689 del codice penale recita, 
infatti: “Somministrazione di
bevande alcooliche a minori o a infermi di mente” 
e dispone che: 
“L'esercente un'osteria o un altro pubblico spaccio di cibi o di 
bevande, il quale somministra, in un luogo
pubblico o aperto al pubblico, bevande alcooliche a un minore 
degli anni sedici, o a persona che appaia
affetta da malattia di mente, o che si trovi in manifeste 
condizioni di deficienza psichica a causa di
un'altra infermità, è punito con l'arresto fino a un anno”. 
Interpretare oggi la norma penale non è facile tenuto conto dell’evoluzione 
della terminologia che il legislatore ha via via utilizzato. E’ d’aiuto, sotto 
questo punto di vista, individuare con precisione il bene giuridico che il 
legislatore, all’epoca, intendeva tutelare: la prevenzione all’alcolismo come 
causa di degenerazione individuale e sociale e di delinquenza. (nota 
21) Certamente, comunque, non si può ritenere, al di là di ogni ragionevole
dubbio, che il significato di “somministrazione” utilizzato nel 
1930 nel codice penale
possa essere lo stesso che è stato utilizzato 44 anni dopo, 
nella legge 524 del 1974 che
aveva come fine quello di programmare l’apertura di nuovi 
esercizi pubblici, e che ha
abrogato esplicitamente la disciplina contenuta nel tulps posta 
originariamente,
nell’ordinamento, proprio al fine di contrastare la piaga 
dell’alcolismo attraverso l’attività
di vigilanza sul consumo e vendita delle bevande alcoliche.(nota 22) 
Ritornando, quindi, all’articolo 689 del codice penale, diventa 
fondamentale capire a che
cosa intendeva riferirsi il legislatore, nel momento in cui ha 
inteso sanzionare l’attività di
somministrazione ai minori di anni 16, ovvero diventa 
fondamentale capire se si deve
intendere esclusivamente la vendita per il consumo immediato o 
sul posto (che ormai è
consentita come si è visto sia negli esercizi pubblici che nei 
negozi) o anche la vendita
per asporto; la vendita effettuata all’interno dei pubblici 
esercizi o anche quella nei
negozi. Insomma, se il fine della disposizione era (ed è 
certamente ancora oggi) la lotta
all’alcolismo, va ricercato il comportamento che, allora, il 
legislatore intendeva punire per
non privare di senso logico la disposizione proprio oggi che, 
come si è visto, l’unica
differenza tra negozi e bar, a volte, è solo il servizio al 
tavolo. 
L’azione penalmente punita è “il somministrare” cioè dare, 
offrire dietro corrispettivo o
anche gratuitamente. Secondo autorevole dottrina (nota 23), “poiché il 
pericolo sorge col rendere
possibili gli effetti dell’uso di alcolici, che riesce dannoso 
specialmente alle persone (qui)
considerate, la legge adopera l’espressione lata di 
somministrare anziché quella di
vendere, rimanendo indifferente l’indagine a qual titolo e per 
quale scopo la
somministrazione venga fatta. Né occorre che la bevanda sia 
consumata, bastando che
sia messa a disposizione e sia ricevuta dal destinatario”. 
Insomma il legislatore ha fatto
un uso atecnico del termine proprio al fine di non vanificare il 
fine della norma e di
nessun aiuto è, a tale proposito, la definizione di 
somministrazione fornita dal codice
civile. (nota 24) 
In sostanza, il somministrare in senso lato ha portato ad 
interpretare il termine in senso
stretto restringendo, quindi, la portata della disposizione con 
le conseguenze agli occhi di
tutti. E dire che già Manzini, nel suo trattato, aveva 
evidenziato come il legislatore non
“restringe la sua previsione agli spacci in cui si vendono o si 
consumano bevande
alcoliche, ma la estende anche agli spacci di bevande o di 
cibi (nota 25), a differenza dell’articolo
234, e come l’articolo 625, n.6” che parlano espressamente di 
spacci di bevande
alcoliche. “Di conseguenza, puntualizza Manzini, la contravvenzione è imputabile 
anche all’esercente codesti spacci, quando, sia pure eccezionalmente rispetto a 
ciò che nel suo esercizio normalmente si vende, abbia commesso il fatto 
contemplato nell’articolo 689”. 
Fortunatamente il requisito professionale per l’attività di 
vendita di prodotti alimentari e
per l’attività di somministrazione (in senso stretto) di 
alimenti e bevande esiste ancora e
quindi un buon corso di aggiornamento su questo argomento è 
d’obbligo. Alle camere di
commercio, ai CAT e alle associazioni di categoria, dunque, 
oggi, l’ingrato compito di
riordinare le carte per giocare una nuova partita nel rispetto 
delle regole e reprimere un
fenomeno che sta dilagando. Dopotutto “somministrare bevande 
alcoliche significa
fornire tali bevande a una persona perché le consumi bevendole e 
non occorre però che
la bevanda sia effettivamente ingerita, bastando che essa sia 
posta a disposizione della
persona.” (nota 26) Di conseguenza, non c’è differenza alcuna tra il 
mettere a disposizione del
cliente minore di sedici anni la bevanda alcolica in bar o nel 
negozio. Questo si afferma
nel divieto posto dall’articolo 689 cp. e tale divieto non è 
stato mai rimosso
dall’ordinamento. 10 luglio 2008  
note: 
	- 
	
Il riferimento è 
	all’articolo 689 del c.p.  
	- 
	
Tra l’altro, le 
	due diverse forme di commercio che originariamente erano disciplinate in due 
	corpi normativi diversi, la legge 426/1971 per il commercio in area 
	privata, la legge 398/1976 per il commercio ambulante sostituita poi dalla 
	legge 112/1991, sono confluite ambedue nel decreto legislativo 114/1998.  
	- 
	
	Di fatto, questo articolo è sempre stato considerato come base 
giuridica per l’apertura di un esercizio pubblico e non,
anche, per la mera vendita di bevande alcoliche. Invece la 
licenza prevista dall’articolo 86 del tulps legittimava, nel passato, la
vendita di alcolici sfusi o, comunque, in recipienti di limitato 
contenuto. L’articolo 89 rendeva obbligatoria una speciale
licenza per la vendita dei superalcolici.  
	- 
	
	Si tratta della legge la cui rubrica recita Modificazione al 
	regime fiscale degli spirit. La legge è stata pubblicata nella Gazz.
Uff. 18 maggio 1981, n. 134.  
	- 
	
	E’ ben noto che la competenza al rilascio delle licenze 
previste dall’articolo 86 del tulps è competenza del sindaco fin dal
dpr 616/1977, ma si ritiene di lasciare il riferimento al 
questore per chiarire nei termini più chiari la problematica.  
	- 
	
	In tal senso N.DE RUBERTIS La legislazione di pubblica 
sicurezza. Firenze 1987 pag. 570  
	- 
	
	Il riferimento alla circolare della direzione generale deella 
PS 10 novembre 1970 n. 10.4053.12000 è in DE RUBERTIS op. cit. pag. 571.  
	- 
	
	L’art. 17 bis del tulps dispone, al primo comma, che “Le 
violazioni alle disposizioni di cui agli articoli 59, 60, 75, 75-bis, 76,
se il fatto è commesso contro il divieto dell'autorità, 86, 87, 
101, 104, 111, 115, 120, comma secondo, limitatamente alle
operazioni diverse da quelle indicate nella tabella, 121, 124 e 
135, comma quinto, limitatamente alle operazioni diverse da
quelle indicate nella tabella, sono soggette alla sanzione 
amministrativa del pagamento di una somma da € 516,00 a €
3098,00.”  
	- 
	
	Originariamente l’attività commerciale era disciplinata dal 
regio decreto-legge 16 novembre 1926,n. 2174, convertito in
legge 18 dicembre 1927. Successivamente, questa disciplina è 
stata sostituita dalla legge 426 del 1971 che, a sua volta, è stata
abrogata dal decreto legislativo 114/1998.  
	- 
	
	Si veda, a tale riguardo, l. ’articolo 45 n. 7 della legge 
426/1971.  
	- 
	
	A dire il vero già con la legge 426/1971 era stata 
introdotta, all’articolo 1, la seguente definizione: “l'attività di commercio
al minuto, (è esercitata da) chiunque professionalmente acquista 
merci a nome e per conto proprio e le rivende, in sede
fissa,o mediante altre forme di distribuzione,direttamente al 
consumatore finale”  
	- 
	
	La legge di riferimento è oggi la n. 287/1991   
	- 
	
	N. DE RUBERTIS op. cit. pag. 529   
	- 
	
	Tra l’altro, Gianfranco Cardosi nella rivista Commercio e 
servizi ed. Maggioli, n. 3/2007, pag. 17, sostiene l’implicita
abrogazione delle norme del tulps per l’attività di 
somministrazione, essendo quest’ultima ormai organicamente e
completamente disciplinata dalla legge 287 del 1991.  
	- 
	
	L’elencazione degli ambiti esclusi dalla disciplina meramente 
commerciale sono contenuti nell’articolo 4, comma 2 del d.lgs 114/1998 e sono:
a) ai farmacisti e ai direttori di farmacie delle quali i comuni 
assumono l'impianto e l'esercizio ai sensi della legge 2 aprile
1968, n. 475, e successive modificazioni, e della legge 8 
novembre 1991, n. 362, e successive modificazioni, qualora vendano
esclusivamente prodotti farmaceutici, specialità medicinali, 
dispositivi medici e presidi medico-chirurgici;
b) ai titolari di rivendite di generi di monopolio qualora 
vendano esclusivamente generi di monopolio di cui alla legge 22
dicembre 1957, n. 1293, e successive modificazioni, e al 
relativo regolamento di esecuzione, approvato con decreto del
Presidente della Repubblica 14 ottobre 1958, n. 1074, e 
successive modificazioni;
c) alle associazioni dei produttori ortofrutticoli costituite ai 
sensi della legge 27 luglio 1967, n. 622, e successive
modificazioni;
d) ai produttori agricoli, singoli o associati, i quali 
esercitino attività di vendita di prodotti agricoli nei limiti di cui 
all'articolo
2135 del codice civile, alla legge 25 marzo 1959, n. 125, e 
successive modificazioni, e alla legge 9 febbraio 1963, n. 59, e
successive modificazioni;
e) alle vendite di carburanti nonché degli oli minerali di cui 
all'articolo 1 del regolamento approvato con regio decreto 20
luglio 1934, n. 1303, e successive modificazioni. Per vendita di 
carburanti si intende la vendita dei prodotti per uso di
autotrazione, compresi i lubrificanti, effettuata negli impianti 
di distribuzione automatica di cui all'articolo 16 del decretolegge
26 ottobre 1970, n. 745, convertito, con modificazioni, dalla 
legge 18 dicembre 1970, n. 1034, e successive
modificazioni, e al decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32;
f) agli artigiani iscritti nell'albo di cui all'articolo 5, 
primo comma, della legge 8 agosto 1985, n. 443, per la vendita nei locali di
produzione o nei locali a questi adiacenti dei beni di 
produzione propria, ovvero per la fornitura al committente dei beni
accessori all'esecuzione delle opere o alla prestazione del 
servizio;
g) ai pescatori e alle cooperative di pescatori, nonché ai 
cacciatori, singoli o associati, che vendano al pubblico, al dettaglio, la
cacciagione e i prodotti ittici provenienti esclusivamente 
dall'esercizio della loro attività e a coloro che esercitano la vendita
dei prodotti da essi direttamente e legalmente raccolti su 
terreni soggetti ad usi civici nell'esercizio dei diritti di erbatico, di
fungatico e di diritti similari; h) a chi venda o esponga per la vendita le 
	proprie opere d'arte, nonché quelle dell'ingegno a carattere creativo, 
	comprese le proprie pubblicazioni di natura scientifica od informativa, 
	realizzate anche mediante supporto informatico; i) alla vendita dei beni del 
	fallimento effettuata ai sensi dell'articolo 106 delle disposizioni 
	approvate con regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive 
	modificazioni; l) all'attività' di vendita effettuata durante il periodo di 
	svolgimento delle fiere campionarie e delle mostre di prodotti nei confronti 
	dei visitatori, purché riguardi le sole merci oggetto delle manifestazioni e 
	non duri oltre il periodo di svolgimento delle manifestazioni stesse; m) 
	agli enti pubblici ovvero alle persone giuridiche private alle quali 
	partecipano lo Stato o enti territoriali che vendano pubblicazioni o altro 
	materiale informativo, anche su supporto informatico, di propria o altrui 
	elaborazione, concernenti l'oggetto della loro attivata.  
	- 
	
	Come si è chiarito oggi per negozio al minuto non si intende 
	più la minuta vendita alla quale faceva riferimento, con riguardo agli 
	alcolici, l’articolo 86 del tulps, bensì rileva la 
distinzione tra vendita l minuto e vendita all’ingrosso, nel senso
che la nella vendita al minuto il destinatario finale, 
l’acquirente, è il consumatore finale, mentre nel commercio all’ingrosso,
l’acquirente è l’utilizzatore professionale o altro soggetto 
individuato espressamente dall’articolo 4 del d.lgs 114/1998,
ovvero altri commercianti, all'ingrosso o al dettaglio o ad 
altri utilizzatori in grande.  
	- 
	
	Interessante, relativamente a questo aspetto, la sentenza 
Cassazione civile , sez. I, 19 maggio 2006 , n. 11845, la cui
massima precisa che la vendita al dettaglio di prodotti 
alimentari per mezzo di apparecchi automatici, la quale, a norma
dell'art. 17 del d.lg. n. 114 del 1998, che la disciplina, è 
soggetta (come quella di ogni altro prodotto) è soggetta ad apposita
comunicazione al comune competente per territorio, si distingue 
dalla somministrazione di alimenti e bevande a mezzo dei
predetti apparecchi, regolata dall'art. 1 della legge n. 287 del 
1991, che, al comma 1, ne definisce l'ambito, richiedendo
rispetto al commercio al minuto un quid pluris, costituito dalla predisposizione 
	di spazi e strutture che consentano all'acquirente di consumare in loco i 
	prodotti stessi, e, al comma 2, estende la operatività della legge stessa 
	anche con riguardo alla somministrazione effettuata con distributori 
	automatici in locali esclusivamente adibiti a tale attività. Nelle ipotesi 
	contemplate dalla citata legge n. 287 del 1991, la vendita attraverso 
	apparecchiature automatiche costituisce solo una modalità di consegna del 
	prodotto per il consumo in loco diversa da quella della consegna al banco, 
	e, pertanto, essa rientra nell'attività di somministrazione di alimenti e 
	bevande già autorizzata al momento dell'apertura dell'esercizio pubblico, 
	con la conseguente esclusione dell'obbligo di apposita comunicazione al 
	Comune, cui la legge n. 287 del 1991 non fa alcun riferimento.  
	- 
	
	L’articolo 4 Servizi sostitutivi di mensa della legge 77/1997 
	dispone che: 1. Per servizi sostitutivi di mensa resi a mezzo dei buoni 
	pasto di cui al decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 3 
	marzo 1994, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 66 del 21 marzo 1994, 
	devono intendersi le somministrazioni di alimenti e bevande effettuate dai 
	pubblici esercizi, nonché le cessioni di prodotti di gastronomia pronti per 
	il consumo immediato effettuate da mense aziendali, interaziendali, 
	rosticcerie e gastronomie artigianali, pubblici esercizi e dagli esercizi 
	commerciali muniti dell'autorizzazione di cui all'articolo 24 della legge 11 
	giugno 1971, n. 426 , per la vendita dei generi compresi nella tabella I 
	dell'allegato 5 al decreto 4 agosto 1988, n. 375 , del Ministro 
	dell'industria, del commercio e dell'artigianato nonché dell'autorizzazione 
	di cui all'articolo 2 della legge 30 aprile 1962, n. 283 , per la 
	produzione, preparazione e vendita al pubblico di generi alimentari, anche 
	su area pubblica, e operate dietro commesse di imprese che forniscono 
	servizi sostitutivi di mensa aziendale.  
	- 
	
	Erra voce bevande alcoliche in Enc. Dir. Vol. V, Milano 316  
	- 
	
	All’articolo 689 c.p. fa riferimento anche l’articolo 24 del 
R.D. 24 dicembre 1934 n. 2316 (Testo unico delle leggi sulla
protezione ed assistenza della maternità ed infanzia) il quale 
recita che: “Sono vietati nelle scuole, nei convitti e in tutti gli
istituti di educazione e di ricovero la somministrazione e l'uso 
di bevande alcooliche ai minori degli anni 16,
comprendendosi fra tali bevande anche il vino.”  
	- 
	
	In tal senso G.MANZINI Trattato di diritto penale UTET 
	1986 paragrafo 3770 pag. 644  
	- 
	
Con l’articolo 1 
	della legge 524/1971, infatti, venivano “abrogati gli articoli 
	89,90,91,95,96,97,98, nonché il terzo e il quarto comma dell'articolo 
	103 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza,approvato con regio 
	decreto 18 giugno 1931,n.773.”  
	- 
	
G.SABATINI. Le contravvenzioni nel codice penale vigente, 
CASA EDITRICE F.VILLARDI, pag. 566  
	- 
	
L’articolo 1559 fornisce la seguente nozione: La 
somministrazione è il contratto con il quale una parte si obbliga, verso
corrispettivo di un prezzo, a eseguire, a favore dell'altra, 
prestazioni periodiche o continuative di cose.  
	- 
	
In senso conforme anche Erra op.cit. p. 304 “E' ovviamente 
indifferente che la vendita di bevande alcoliche sia l'unica o
la principale attività dell'esercizio ovvero sia accessoria di 
altre attività, come avviene, per esempio, nelle drogherie”  
	- 
	
In tal senso C.ERRA. op. cit. p. 315  
 
 
revisionato) che regola l’attività di commercio al minuto. Su queste discipline 
ci si può chiedere, oggi, se soprintende ancora il testo unico di pubblica 
sicurezza che, per quanto riguarda le bevande alcoliche e i superalcolici, 
individua espressamente, all’articolo 86 (nota 14) e all’articolo 176 del relativo regolamento, 
l’ambito di applicabilità con
riferimento sia al consumo sul posto che alla vendita se 
effettuata nei recipienti di 0,200
e 0,33 rispettivamente per gli alcolici e i superalcolici. Il 
dubbio sorge dal fatto che il
decreto legislativo 114 del 1998 elenca, specificatamente, le 
attività commerciali escluse
dal suo ambito (nota 15) ma, contrariamente a quanto aveva fatto la 
legge 426/1971, non fa
salve le eventuali normative di settore. In pratica, il decreto 
legislativo 114/1998 si pone
come “la legge” per il settore del commercio. 
Tra l’altro, successivamente al 1974, essendo cadute (si 
riteneva) le ragioni di contrasto
dell’alcolismo, il legislatore ha cambiato l’impostazione della 
disciplina relativa ai pubblici
esercizi e, da normativa orientata alla repressione 
all’alcolismo, si è passati a disciplina a
carattere economico programmatorio, come un paio di anni prima 
era stato fatto per le
attività commerciali. Inoltre, su questo specifico argomento, 
con l’articolo 23, quarto
comma del dm 28 aprile 1976, è stato scritto un nuovo capitolo. 
Con tale disposizione,
infatti, è stata estesa anche agli esercizi pubblici (quelli 
muniti della autorizzazione
prevista dall’articolo 86 del tulps e dalla legge 524 del 1971) la possibilità 
di vendere bevande alcoliche e superalcoliche senza l’obbligo della licenza per 
l’attività di vendita, a prescindere dai vincoli imposti dall’articolo 176 del 
regolamento. In sostanza, nei bar e
ristoranti si poteva (e si può) effettuare congiuntamente 
l’attività di somministrazione
(consumo sul posto) e l’attività commerciale (vendita per 
asporto). 
Oggi, questa facoltà è prevista dalla legge 287/1991. Infatti, 
l’articolo 5, al comma 4,
dispone che: 
4. Gli esercizi di cui al presente articolo hanno facoltà di 
vendere per asporto le bevande ………... In
ogni caso l'attività di vendita è sottoposta alle stesse norme 
osservate negli esercizi di vendita al minuto. 
Riepilogando, in conseguenza alle successive modifiche, nei 
pubblici esercizi per la
somministrazione di alimenti e bevande è consentito 
somministrare (ovvero consumare
in luoghi attrezzati) e vendere, per asporto, le bevande di 
qualsiasi gradazione alcolica
esse siano, mentre gli esercizi commerciali sprovvisti di 
autorizzazione per l’attività di
somministrazione, possono (o meglio potevano per le ragioni di 
cui si dirà più sotto)
soltanto vendere per asporto le bevande e non somministrarle. 
Non si ritiene, per effetto
della mancanza di qualsiasi riferimento contenuto nella 
disciplina commerciale, che
sussista ancora l’obbligo per i titolari dei negozi che 
intendono porre in vendita bevande
in recipienti dal contenuto inferiore a un terzo e un quinto di 
litro, (0.33 e 0.20)
rispettivamente per gli alcolici e i superalcolici, di munirsi 
della licenza prevista
dall’articolo 86 del tulps che era, invece, originariamente 
necessaria come risulta dalla già
indicata circolare ministeriale n. 10.4053/12000. 
Ma c’è di più. Si è chiarito che oggi i bar, ristoranti, pizzerie, pub, negozi e 
supermercati possono vendere di tutto: dalla lattina di birra alla mignon di 
liquore, dalla damigiana di vino al fusto di birra, senza alcun vincolo Insomma, 
il quantitativo non rileva giuridicamente. L’unica distinzione tra esercizi 
pubblici (in senso stretto) e negozi al minuto (nota 16) è che 
i primi mettono al servizio del consumatore, strutture ed attrezzature per il 
consumo sul posto (nota 17). Tra l’altro, questa distinzione è 
stata fortemente mitigata da due diverse leggi: la legge 25 marzo 1997, n. 77 
(Disposizioni in materia di commercio e di camere di commercio) che, 
all’articolo 4 (nota 18) , introduce la facoltà per i negozi 
di vendere, per il consumo immediato (utilizzando i buoni pasto), alimenti e 
bevande, e la legge
248/2006 (prima lenzuolata Bersani) che, per la previsione 
contenuta all’articolo 3,
consente il consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso 
l'esercizio di
vicinato, utilizzando i locali e gli arredi dell'azienda con 
l'esclusione del servizio assistito
di somministrazione e con l'osservanza delle prescrizioni 
igienico-sanitarie. Insomma, se
la somministrazione (in senso stretto ovvero quella disciplinata 
dalla legge 287/1991)
originariamente esigeva un quid pluris, rispetto al 
commercio al minuto di alimenti e
bevande, costituito dall’ allestimento di spazi e strutture che 
consentano all'acquirente di
consumare in loco i prodotti stessi, oggi questa 
distinzione non rileva più tenuto conto
che anche i negozi al minuto consentono il consumo sul posto di 
“alimenti e bevande “
(all’interno del servizio sostitutivo di mensa) e il consumo sul 
posto di “prodotti di
gastronomia” per effetto della legge 248/2006.
La somministrazione sanzionata dal codice penale 
Il codice, all'art. 689, persegue il fine immediato di tutelare 
persone che per l'immaturità
o per condizioni psicopatologiche mancano della potestà di 
autogoverno oltre a voler
prevenire l'alcolismo quale causa di degenerazione individuale o 
sociale e di criminalità.(nota 19) 
L’articolo 689 c.p (nota 20) non fa alcun rinvio a quella vendita al 
minuto e al consumo sul
posto utilizzati espressamente dall’articolo 86 del tulps che, 
com’è noto, è stato
revisionato dopo la stesura del codice penale, proprio al fine 
di sistematizzarne i
contenuti. Né fa alcun riferimento alla vendita per asporto 
degli alcolici, secondo il
significato che più sopra è stato esaminato in relazione 
all’articolo 176 del regolamento
tulps. La rubrica dell’articolo 689 del codice penale recita, 
infatti: “Somministrazione di
bevande alcooliche a minori o a infermi di mente” 
e dispone che: 
“L'esercente un'osteria o un altro pubblico spaccio di cibi o di 
bevande, il quale somministra, in un luogo
pubblico o aperto al pubblico, bevande alcooliche a un minore 
degli anni sedici, o a persona che appaia
affetta da malattia di mente, o che si trovi in manifeste 
condizioni di deficienza psichica a causa di
un'altra infermità, è punito con l'arresto fino a un anno”. 
Interpretare oggi la norma penale non è facile tenuto conto dell’evoluzione 
della terminologia che il legislatore ha via via utilizzato. E’ d’aiuto, sotto 
questo punto di vista, individuare con precisione il bene giuridico che il 
legislatore, all’epoca, intendeva tutelare: la prevenzione all’alcolismo come 
causa di degenerazione individuale e sociale e di delinquenza. (nota 
21) Certamente, comunque, non si può ritenere, al di là di ogni ragionevole
dubbio, che il significato di “somministrazione” utilizzato nel 
1930 nel codice penale
possa essere lo stesso che è stato utilizzato 44 anni dopo, 
nella legge 524 del 1974 che
aveva come fine quello di programmare l’apertura di nuovi 
esercizi pubblici, e che ha
abrogato esplicitamente la disciplina contenuta nel tulps posta 
originariamente,
nell’ordinamento, proprio al fine di contrastare la piaga 
dell’alcolismo attraverso l’attività
di vigilanza sul consumo e vendita delle bevande alcoliche.(nota 22) 
Ritornando, quindi, all’articolo 689 del codice penale, diventa 
fondamentale capire a che
cosa intendeva riferirsi il legislatore, nel momento in cui ha 
inteso sanzionare l’attività di
somministrazione ai minori di anni 16, ovvero diventa 
fondamentale capire se si deve
intendere esclusivamente la vendita per il consumo immediato o 
sul posto (che ormai è
consentita come si è visto sia negli esercizi pubblici che nei 
negozi) o anche la vendita
per asporto; la vendita effettuata all’interno dei pubblici 
esercizi o anche quella nei
negozi. Insomma, se il fine della disposizione era (ed è 
certamente ancora oggi) la lotta
all’alcolismo, va ricercato il comportamento che, allora, il 
legislatore intendeva punire per
non privare di senso logico la disposizione proprio oggi che, 
come si è visto, l’unica
differenza tra negozi e bar, a volte, è solo il servizio al 
tavolo. 
L’azione penalmente punita è “il somministrare” cioè dare, 
offrire dietro corrispettivo o
anche gratuitamente. Secondo autorevole dottrina (nota 23), “poiché il 
pericolo sorge col rendere
possibili gli effetti dell’uso di alcolici, che riesce dannoso 
specialmente alle persone (qui)
considerate, la legge adopera l’espressione lata di 
somministrare anziché quella di
vendere, rimanendo indifferente l’indagine a qual titolo e per 
quale scopo la
somministrazione venga fatta. Né occorre che la bevanda sia 
consumata, bastando che
sia messa a disposizione e sia ricevuta dal destinatario”. 
Insomma il legislatore ha fatto
un uso atecnico del termine proprio al fine di non vanificare il 
fine della norma e di
nessun aiuto è, a tale proposito, la definizione di 
somministrazione fornita dal codice
civile. (nota 24) 
In sostanza, il somministrare in senso lato ha portato ad 
interpretare il termine in senso
stretto restringendo, quindi, la portata della disposizione con 
le conseguenze agli occhi di
tutti. E dire che già Manzini, nel suo trattato, aveva 
evidenziato come il legislatore non
“restringe la sua previsione agli spacci in cui si vendono o si 
consumano bevande
alcoliche, ma la estende anche agli spacci di bevande o di 
cibi (nota 25), a differenza dell’articolo
234, e come l’articolo 625, n.6” che parlano espressamente di 
spacci di bevande
alcoliche. “Di conseguenza, puntualizza Manzini, la contravvenzione è imputabile 
anche all’esercente codesti spacci, quando, sia pure eccezionalmente rispetto a 
ciò che nel suo esercizio normalmente si vende, abbia commesso il fatto 
contemplato nell’articolo 689”. 
Fortunatamente il requisito professionale per l’attività di 
vendita di prodotti alimentari e
per l’attività di somministrazione (in senso stretto) di 
alimenti e bevande esiste ancora e
quindi un buon corso di aggiornamento su questo argomento è 
d’obbligo. Alle camere di
commercio, ai CAT e alle associazioni di categoria, dunque, 
oggi, l’ingrato compito di
riordinare le carte per giocare una nuova partita nel rispetto 
delle regole e reprimere un
fenomeno che sta dilagando. Dopotutto “somministrare bevande 
alcoliche significa
fornire tali bevande a una persona perché le consumi bevendole e 
non occorre però che
la bevanda sia effettivamente ingerita, bastando che essa sia 
posta a disposizione della
persona.” (nota 26) Di conseguenza, non c’è differenza alcuna tra il 
mettere a disposizione del
cliente minore di sedici anni la bevanda alcolica in bar o nel 
negozio. Questo si afferma
nel divieto posto dall’articolo 689 cp. e tale divieto non è 
stato mai rimosso
dall’ordinamento. 10 luglio 2008  
note: 
	- 
	
Il riferimento è 
	all’articolo 689 del c.p.  
	- 
	
Tra l’altro, le 
	due diverse forme di commercio che originariamente erano disciplinate in due 
	corpi normativi diversi, la legge 426/1971 per il commercio in area 
	privata, la legge 398/1976 per il commercio ambulante sostituita poi dalla 
	legge 112/1991, sono confluite ambedue nel decreto legislativo 114/1998.  
	- 
	
	Di fatto, questo articolo è sempre stato considerato come base 
giuridica per l’apertura di un esercizio pubblico e non,
anche, per la mera vendita di bevande alcoliche. Invece la 
licenza prevista dall’articolo 86 del tulps legittimava, nel passato, la
vendita di alcolici sfusi o, comunque, in recipienti di limitato 
contenuto. L’articolo 89 rendeva obbligatoria una speciale
licenza per la vendita dei superalcolici.  
	- 
	
	Si tratta della legge la cui rubrica recita Modificazione al 
	regime fiscale degli spirit. La legge è stata pubblicata nella Gazz.
Uff. 18 maggio 1981, n. 134.  
	- 
	
	E’ ben noto che la competenza al rilascio delle licenze 
previste dall’articolo 86 del tulps è competenza del sindaco fin dal
dpr 616/1977, ma si ritiene di lasciare il riferimento al 
questore per chiarire nei termini più chiari la problematica.  
	- 
	
	In tal senso N.DE RUBERTIS La legislazione di pubblica 
sicurezza. Firenze 1987 pag. 570  
	- 
	
	Il riferimento alla circolare della direzione generale deella 
PS 10 novembre 1970 n. 10.4053.12000 è in DE RUBERTIS op. cit. pag. 571.  
	- 
	
	L’art. 17 bis del tulps dispone, al primo comma, che “Le 
violazioni alle disposizioni di cui agli articoli 59, 60, 75, 75-bis, 76,
se il fatto è commesso contro il divieto dell'autorità, 86, 87, 
101, 104, 111, 115, 120, comma secondo, limitatamente alle
operazioni diverse da quelle indicate nella tabella, 121, 124 e 
135, comma quinto, limitatamente alle operazioni diverse da
quelle indicate nella tabella, sono soggette alla sanzione 
amministrativa del pagamento di una somma da € 516,00 a €
3098,00.”  
	- 
	
	Originariamente l’attività commerciale era disciplinata dal 
regio decreto-legge 16 novembre 1926,n. 2174, convertito in
legge 18 dicembre 1927. Successivamente, questa disciplina è 
stata sostituita dalla legge 426 del 1971 che, a sua volta, è stata
abrogata dal decreto legislativo 114/1998.  
	- 
	
	Si veda, a tale riguardo, l. ’articolo 45 n. 7 della legge 
426/1971.  
	- 
	
	A dire il vero già con la legge 426/1971 era stata 
introdotta, all’articolo 1, la seguente definizione: “l'attività di commercio
al minuto, (è esercitata da) chiunque professionalmente acquista 
merci a nome e per conto proprio e le rivende, in sede
fissa,o mediante altre forme di distribuzione,direttamente al 
consumatore finale”  
	- 
	
	La legge di riferimento è oggi la n. 287/1991   
	- 
	
	N. DE RUBERTIS op. cit. pag. 529   
	- 
	
	Tra l’altro, Gianfranco Cardosi nella rivista Commercio e 
servizi ed. Maggioli, n. 3/2007, pag. 17, sostiene l’implicita
abrogazione delle norme del tulps per l’attività di 
somministrazione, essendo quest’ultima ormai organicamente e
completamente disciplinata dalla legge 287 del 1991.  
	- 
	
	L’elencazione degli ambiti esclusi dalla disciplina meramente 
commerciale sono contenuti nell’articolo 4, comma 2 del d.lgs 114/1998 e sono:
a) ai farmacisti e ai direttori di farmacie delle quali i comuni 
assumono l'impianto e l'esercizio ai sensi della legge 2 aprile
1968, n. 475, e successive modificazioni, e della legge 8 
novembre 1991, n. 362, e successive modificazioni, qualora vendano
esclusivamente prodotti farmaceutici, specialità medicinali, 
dispositivi medici e presidi medico-chirurgici;
b) ai titolari di rivendite di generi di monopolio qualora 
vendano esclusivamente generi di monopolio di cui alla legge 22
dicembre 1957, n. 1293, e successive modificazioni, e al 
relativo regolamento di esecuzione, approvato con decreto del
Presidente della Repubblica 14 ottobre 1958, n. 1074, e 
successive modificazioni;
c) alle associazioni dei produttori ortofrutticoli costituite ai 
sensi della legge 27 luglio 1967, n. 622, e successive
modificazioni;
d) ai produttori agricoli, singoli o associati, i quali 
esercitino attività di vendita di prodotti agricoli nei limiti di cui 
all'articolo
2135 del codice civile, alla legge 25 marzo 1959, n. 125, e 
successive modificazioni, e alla legge 9 febbraio 1963, n. 59, e
successive modificazioni;
e) alle vendite di carburanti nonché degli oli minerali di cui 
all'articolo 1 del regolamento approvato con regio decreto 20
luglio 1934, n. 1303, e successive modificazioni. Per vendita di 
carburanti si intende la vendita dei prodotti per uso di
autotrazione, compresi i lubrificanti, effettuata negli impianti 
di distribuzione automatica di cui all'articolo 16 del decretolegge
26 ottobre 1970, n. 745, convertito, con modificazioni, dalla 
legge 18 dicembre 1970, n. 1034, e successive
modificazioni, e al decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32;
f) agli artigiani iscritti nell'albo di cui all'articolo 5, 
primo comma, della legge 8 agosto 1985, n. 443, per la vendita nei locali di
produzione o nei locali a questi adiacenti dei beni di 
produzione propria, ovvero per la fornitura al committente dei beni
accessori all'esecuzione delle opere o alla prestazione del 
servizio;
g) ai pescatori e alle cooperative di pescatori, nonché ai 
cacciatori, singoli o associati, che vendano al pubblico, al dettaglio, la
cacciagione e i prodotti ittici provenienti esclusivamente 
dall'esercizio della loro attività e a coloro che esercitano la vendita
dei prodotti da essi direttamente e legalmente raccolti su 
terreni soggetti ad usi civici nell'esercizio dei diritti di erbatico, di
fungatico e di diritti similari; h) a chi venda o esponga per la vendita le 
	proprie opere d'arte, nonché quelle dell'ingegno a carattere creativo, 
	comprese le proprie pubblicazioni di natura scientifica od informativa, 
	realizzate anche mediante supporto informatico; i) alla vendita dei beni del 
	fallimento effettuata ai sensi dell'articolo 106 delle disposizioni 
	approvate con regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive 
	modificazioni; l) all'attività' di vendita effettuata durante il periodo di 
	svolgimento delle fiere campionarie e delle mostre di prodotti nei confronti 
	dei visitatori, purché riguardi le sole merci oggetto delle manifestazioni e 
	non duri oltre il periodo di svolgimento delle manifestazioni stesse; m) 
	agli enti pubblici ovvero alle persone giuridiche private alle quali 
	partecipano lo Stato o enti territoriali che vendano pubblicazioni o altro 
	materiale informativo, anche su supporto informatico, di propria o altrui 
	elaborazione, concernenti l'oggetto della loro attivata.  
	- 
	
	Come si è chiarito oggi per negozio al minuto non si intende 
	più la minuta vendita alla quale faceva riferimento, con riguardo agli 
	alcolici, l’articolo 86 del tulps, bensì rileva la 
distinzione tra vendita l minuto e vendita all’ingrosso, nel senso
che la nella vendita al minuto il destinatario finale, 
l’acquirente, è il consumatore finale, mentre nel commercio all’ingrosso,
l’acquirente è l’utilizzatore professionale o altro soggetto 
individuato espressamente dall’articolo 4 del d.lgs 114/1998,
ovvero altri commercianti, all'ingrosso o al dettaglio o ad 
altri utilizzatori in grande.  
	- 
	
	Interessante, relativamente a questo aspetto, la sentenza 
Cassazione civile , sez. I, 19 maggio 2006 , n. 11845, la cui
massima precisa che la vendita al dettaglio di prodotti 
alimentari per mezzo di apparecchi automatici, la quale, a norma
dell'art. 17 del d.lg. n. 114 del 1998, che la disciplina, è 
soggetta (come quella di ogni altro prodotto) è soggetta ad apposita
comunicazione al comune competente per territorio, si distingue 
dalla somministrazione di alimenti e bevande a mezzo dei
predetti apparecchi, regolata dall'art. 1 della legge n. 287 del 
1991, che, al comma 1, ne definisce l'ambito, richiedendo
rispetto al commercio al minuto un quid pluris, costituito dalla predisposizione 
	di spazi e strutture che consentano all'acquirente di consumare in loco i 
	prodotti stessi, e, al comma 2, estende la operatività della legge stessa 
	anche con riguardo alla somministrazione effettuata con distributori 
	automatici in locali esclusivamente adibiti a tale attività. Nelle ipotesi 
	contemplate dalla citata legge n. 287 del 1991, la vendita attraverso 
	apparecchiature automatiche costituisce solo una modalità di consegna del 
	prodotto per il consumo in loco diversa da quella della consegna al banco, 
	e, pertanto, essa rientra nell'attività di somministrazione di alimenti e 
	bevande già autorizzata al momento dell'apertura dell'esercizio pubblico, 
	con la conseguente esclusione dell'obbligo di apposita comunicazione al 
	Comune, cui la legge n. 287 del 1991 non fa alcun riferimento.  
	- 
	
	L’articolo 4 Servizi sostitutivi di mensa della legge 77/1997 
	dispone che: 1. Per servizi sostitutivi di mensa resi a mezzo dei buoni 
	pasto di cui al decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 3 
	marzo 1994, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 66 del 21 marzo 1994, 
	devono intendersi le somministrazioni di alimenti e bevande effettuate dai 
	pubblici esercizi, nonché le cessioni di prodotti di gastronomia pronti per 
	il consumo immediato effettuate da mense aziendali, interaziendali, 
	rosticcerie e gastronomie artigianali, pubblici esercizi e dagli esercizi 
	commerciali muniti dell'autorizzazione di cui all'articolo 24 della legge 11 
	giugno 1971, n. 426 , per la vendita dei generi compresi nella tabella I 
	dell'allegato 5 al decreto 4 agosto 1988, n. 375 , del Ministro 
	dell'industria, del commercio e dell'artigianato nonché dell'autorizzazione 
	di cui all'articolo 2 della legge 30 aprile 1962, n. 283 , per la 
	produzione, preparazione e vendita al pubblico di generi alimentari, anche 
	su area pubblica, e operate dietro commesse di imprese che forniscono 
	servizi sostitutivi di mensa aziendale.  
	- 
	
	Erra voce bevande alcoliche in Enc. Dir. Vol. V, Milano 316  
	- 
	
	All’articolo 689 c.p. fa riferimento anche l’articol
		    
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