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Il  Consiglio di Stato, sezione V, con la sentenza n. 5578 del 10  novembre scorso, ha posto  paletti che faranno discutere la categoria  degli artigiani che ha sempre interpretato, a proprio vantaggio, le  novità normative. La sentenza è stata emessa nel  momento in cui, a livello nazionale, viene stoppata l’iniziativa  del Governo tesa a consentire agli artigiani quell’attività  di somministrazione che già nella passata legislatura si era  cercato di introdurre nell’ordinamento mentre, a livello regionale,  la Regione Toscana introduce una disposizione che, con facilità,  potrà essere equivocata.
Si è  cercato il modo, circa un anno fa, di delineare il complesso quadro  che allo stato attuale regola l’attività di vendita e di  somministrazione da parte delle imprese artigiane che operano nel  settore della produzione di prodotti alimentare. In tale nota veniva richiamata la disciplina relativa alla vendita da  parte delle imprese artigiane che, attraverso una politica fatta di  “piccoli passi” ha reso sempre più sottile, fino a  renderla inesistente, come è stato il caso preso in esame  recentemente dal Consiglio di Stato, la linea rossa che separa  l’attività artigiana da quella svolta dagli operatori del  settore della somministrazione. E’ il caso, oggi, di riprendere in  mano le argomentazioni, a seguito  della sentenza del giudice  amministrativo di appello, che consente di far luce su una questione  alquanto oscura a causa di disposizioni la cui interpretazione non si  presenta facile.
Il punto di  partenza di questa breve analisi è la legge 25 marzo 1997, n.  77. "Disposizioni in materia di commercio e di camere di  commercio". L’articolo 4 di questa legge che tratta dei  servizi sostitutivi di mensa, i cosiddetti buoni pasto, ne consente  la cessione indiscriminatamente a tutti gli esercizi pubblici, quindi  anche ai bar oltre ai ristoranti, ma prevede anche un’ulteriore  categoria di esercizi dove può essere consentito il consumo  sul posto: le rosticcerie, le gastronomie artigianali e i negozi.  Specificatamente, questa disposizione, recita che:
“Art.  4.
  (Servizi sostitutivi di mensa)
  1. Per  servizi sostitutivi di mensa resi a mezzo dei buoni pasto di cui al  decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 3 marzo  1994, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 66 del 21 marzo 1994,  devono intendersi le somministrazioni  di alimenti e bevande effettuate dai  pubblici esercizi, nonchè le  cessioni di prodotti di gastronomia pronti per il consumo immediato effettuate da mense aziendali, interaziendali, rosticcerie e  gastronomie artigianali, pubblici esercizi e dagli esercizi  commerciali muniti dell'autorizzazione di cui all'articolo 24 della  legge 11 giugno 1971, n. 426, per la vendita dei generi compresi  nella tabella I dell'allegato 5 al decreto del Ministro  dell'industria, del commercio e dell'artigianato 4 agosto 1988, n.  375, nonchè dell'autorizzazione di cui all'articolo 2 della  legge 30 aprile 1962, n. 283, per la produzione, preparazione e  vendita al pubblico di generi alimentari, anche su area pubblica, e  operate dietro commesse di imprese che forniscono servizi sostitutivi  di mensa aziendale.”
Come risulta  evidente, il legislatore undici anni fa aveva ben chiara la  distinzione tra “somministrazione” e “consumo immediato” (o  consumo sul posto) ed, infatti, collega ai PE la somministrazione e  il consumo immediato alle attività commerciali che non  rientrano nell’ambito dei pubblici esercizi di somministrazione.  Successivamente, a livello nazionale, c’è stata  un’evoluzione normativa:
La prima è  intervenuta con l’articolo 7, comma 3 del decreto legislativo  114/1998, il quale dispone che:
  3. Fermi  restando i requisiti igienico-sanitari, negli esercizi di vicinato  autorizzati alla vendita dei prodotti di cui all'articolo 4 della  legge 25 marzo 1997, n. 77, e' consentito il consumo immediato dei  medesimi a condizione che siano esclusi il servizio di  somministrazione e le attrezzature ad esso direttamente finalizzati.
La  successiva è contestuale alla legge 248 di riconversione del  dl 223/2006 (prima lenzuolata del Ministro Bersani). All’articolo  3, in sede di conversione, è stata aggiunta una lettera che ha  puntualizzato (qualora fosse necessario) che sussiste:
“f-bis)  il divieto o l'ottenimento di autorizzazioni preventive per il  consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso l'esercizio di  vicinato, utilizzando i locali e gli arredi dell'azienda con  l'esclusione del servizio assistito di somministrazione e con  l'osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie.
Il  Ministero competente ha, successivamente, precisato nella circolare  del 28 settembre 2006, n. 8426, applicativa della legge 248 quanto  segue:
“La  disposizione introduce il principio in base al quale negli esercizi  di vicinato, ovviamente solo nel caso in cui siano legittimati alla  vendita dei prodotti appartenenti al settore merceologico alimentare,  il consumo sul posto dei prodotti di gastronomia non può  essere vietato o limitato se svolto alle condizioni espressamente  previste dalla nuova disposizione. 
Le  condizioni concernono la presenza di arredi nei locali dell’azienda  e l’esclusione del servizio assistito di somministrazione. Per  quanto concerne gli arredi, richiamati nella disposizione, è  di tutta evidenza che i medesimi devono essere correlati all’attività  consentita, che nel caso di specie è la vendita per asporto  dei prodotti alimentari e il consumo sul posto dei prodotti di  gastronomia.
In ogni  caso, però, la norma che consente negli esercizi di vicinato  il consumo sul posto non prevede una modalità analoga a quella  consentita negli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande  di cui alla legge 25 agosto 1991, n. 287.
Detta legge,  infatti, nel disciplinare l’attività di somministrazione,  stabilisce, all’art. 1, comma 1, che “per  somministrazione si intende la vendita per il consumo sul posto” che si esplicita in “tutti  i casi in cui gli acquirenti consumano i prodotti nei locali  dell’esercizio o in una superficie aperta al pubblico, all’uopo  attrezzati”. Nei locali degli esercizi di  vicinato, quindi, gli arredi richiamati dalla disposizione non  possono coincidere con le attrezzature tradizionalmente utilizzate  negli esercizi di somministrazione , né può essere  ammesso, in quanto espressamente vietato dalla norma, il servizio  assistito.
Fermo  restando quanto sopra, si ritiene ammissibile, per consentire  l’effettiva applicazione della disposizione e per garantire le  condizioni minime di fruizione, l’utilizzo negli esercizi di  vicinato di piani di appoggio di dimensioni congrue all’ampiezza ed  alla capacità ricettiva del locale, nonché la fornitura  di stoviglie e posate a perdere.”
Più  chiari di così non si poteva essere.
Le novità  normative
La Regione  Toscana, con l.r. 22 ottobre 2008, n. 53 (Norme in materia di  artigianato) pubblicata sul bollettino del 29 ottobre, e precisamente  all’articolo 10, ha reso complesso il quadro normativo di  riferimento, ma è fuor di ogni dubbio che l’interprete avrà  il compito di sistematizzare le disposizioni tuttora vigenti. 
Art. 10
  Svolgimento  dell’attività artigiana
  1.  L’attività artigiana può essere esercitata in luogo  fisso a ciò adibito o presso l’abitazione dell’imprenditore  artigiano o di uno dei soci che partecipano al lavoro o in altra sede  individuata con il committente, oppure in forma ambulante o di  posteggio.
  2.  L’impresa artigiana può vendere beni di produzione propria  nei locali di produzione medesima o ad essi adiacenti, senza  l’osservanza delle disposizioni contenute nella l.r. 28/2005.
  3.  L’impresa artigiana può effettuare la somministrazione nei  locali di produzione e in quelli ad essi adiacenti, utilizzando gli  arredi dell’azienda medesima, quale attività strumentale e  accessoria alla produzione con esclusione del servizio di  somministrazione assistita e nel rispetto delle vigenti norme  igienico-sanitarie.
Con  riferimento al terzo comma, chi ha modo di andare a rileggere le  considerazioni che a suo tempo erano state sviluppate, avrà la  possibilità di constatare che agli artigiani è sempre  stato consentito effettuare la somministrazione “quale attività  strumentale e accessoria alla produzione” Anzi, lo stesso problema  si è riproposto un anno fa nella regione Veneto dove,  inizialmente, la medesima previsione contenuta nella l.r. 29/2007 era  stata letta in funzione di liberalizzazione. Oggi, la Regione Toscana  puntualizza ciò che anche il Consiglio di Stato ha fatto con  la sentenza in commento: gli arredi dell’azienda utilizzati per il  consumo sul posto sono quelli tipici delle attività  commerciali e non quelle dei PE di somministrazione. La legge della  Regione Toscana fa qualcosa di più. Precisa, infatti, che non  è consentita la somministrazione assistita. Che cosa si debba  intendere per somministrazione assistita dovrebbe essere  relativamente semplice. Una definizione possibile è questa:  “L’attività materiale di servizio al tavolo del cliente”  In sostanza, l’esercente, sia esso commerciante o artigiano deve  limitarsi alla consegna dei prodotti al banco.
Le  novità giurisprudenziali
Oggi,  il Consiglio di Stato, sezione V, con  la sentenza n. 5578 del 10 novembre 2008 fornisce utili orientamenti.  La pronuncia ha fatto seguito al ricorso in appello presentato da una  impresa artigiana di Gallipoli che si è vista negare dal  Comune l’autorizzazione all’occupazione del suolo pubblico ed  imporre la cessazione dell’attività di somministrazione  abusivamente esercitata. Con apposita ordinanza, infatti,  Il Comune  di Gallipoli ha ordinato all’impresa artigiana, autorizzata alla  preparazione artigianale nel proprio locale di cibi da asporto, la  cessazione immediata dell’attività di somministrazione di  alimenti e bevande e la rimozione immediata di tavoli e sedie posti  all’esterno del proprio locale, in quanto la polizia municipale ha  accertato che l’esercizio non era autorizzato dell’attività  di somministrazione di alimenti e bevande con sistemazione  all’esterno del locale di tavoli e sedie. Successivamente, il  Comune ha respinto la domanda della ricorrente per la concessione per   del suolo pubblico, in quanto “l’attività di preparazione  di cibi da asporto non è tra quelle per le quali è  prevista l’occupazione temporanea di suolo pubblico.” Il tar al  quale l’impresa artigiana  si era, inizialmente, rivolta ha  respinto il ricorso perchè la sistemazione di sedie e tavolini  all’esterno del locale snatura la caratteristica dell’esercizio  da asporto riconducendolo alla tipologia degli esercizi di  somministrazione. Il mutamento tipologico non è di poco conto,  in quanto “realizza di fatto un esercizio di somministrazione senza  la prescritta autorizzazione e, soprattutto, a prescindere dalla  verifica dei limiti numerici previsti dalla disciplina di settore”.  Secondo la ricorrente, i primi giudici avrebbero errato nella  valutazione del caso, facendo riferimento ad una situazione che non  avrebbe riscontro nella realtà, in quanto l’interessata si  sarebbe limitata a richiedere la possibilità di collocare  sedie e tavolini in prossimità dell’esercizio soltanto allo  scopo di far sedere  i clienti in attesa di essere serviti. Il  Consiglio di Stato ha, invece, confermato la sentenza di primo grado  ritenendo non convincente la tesi dell’appellante affermando che “è  privo di validità sul piano logico e pratico l’assunto  secondo cui i clienti in attesa di essere serviti abbiano bisogno di  sedersi a tavolini all’uopo predisposti, sembrando fondata la tesi  del Comune, verificata dall’accertamento compiuto dai vigili  urbani, che si intende offrire al pubblico la possibilità di  consumare sul posto gli alimenti acquistati.” In pratica, secondo  il Consiglio di Stato, “risulta legittima la posizione  dell’Amministrazione comunale che, in presenza di un attività  sostanzialmente assimilabile alla somministrazione di cibi e bevande,  si attivi per imporre il rispetto della normativa che regola quella  specifica attività, impedendone il surrettizio aggiramento.”
 
Dicembre  2008